Vi sono convinzioni che si insinuano nella nostra mente sin da quando siamo bambini per poi “inseguirci” sino all’età adulta: sono pensieri che ci limitano nel vivere a pieno esperienze, relazioni ed emozioni. Per approfondire l’argomento, abbiamo intervistato Lisette Schuitemaker, autrice del nuovo libro edito da Amrita “L’ho creduto sin da bambino”. Lisette – laureata in scienze curative alla scuola di Barbara Brennan e studiosa delle teorie psicologiche di Reich – ci spiega come identificare questi pensieri per poi liberarcene e raggiungere così la parte più vera e autentica di noi stessi.
Lisette, il tuo libro è stato pubblicato da pochi giorni in Italia. Puoi dirci di cosa parla?
“L’ho creduto sin da bambino” parla delle convinzioni che ci portiamo dietro da quando siamo molto giovani. In quella fase di vita così delicata, ognuno di noi ha necessità di essere amato e accudito e nutre il desiderio e il bisogno di dare un senso al mondo in cui è nato. Essendo però, in quel momento, individui ancora “in formazione”, abbiamo ovviamente una visione d’insieme limitata della vita. Perciò finiamo con il trarre conclusioni basate sulle conoscenze assorbite sino a quel momento della nostra vita. Queste conclusioni iniziano a bisbigliarci all’orecchio e continuano a farlo… almeno sino a che non riusciamo ad identificarle.
Come ti è venuta l’idea di scrivere questo libro?
Sono venuta a conoscenza degli studi di Wilhelm Reich (psichiatra e psicoanalista austriaco vissuto agli inizi del ‘900), attraverso la Brennan School of Healing. Quando li ho incontrati per la prima volta avevo quasi 50 anni e ho pensato: “Perché non l’ho saputo prima? Sarebbe utile a tutti conoscerle!”. Questo è il pensiero che mi ha spinto a scrivere questo libro.
Come hai scelto proprio queste cinque conclusioni, e perché?
Non le ho scelte io, sono le conclusioni che ha osservato Reich nei suoi studi; io mi sono limitata a tradurle. Egli è stato uno dei primi psichiatri che – osservando le storie dei propri pazienti – ha notato uno schema ripetitivo. Ha elaborato quindi la teoria secondo la quale ci sono cinque convinzioni ricorrenti che nascono durante l’infanzia.
In che modo queste convinzioni diventano un limite per le persone?
Le convinzioni che derivano dalle conclusioni che traiamo nei primi anni della nostra vita, sono un limite perché non sono vere. Tendiamo, ad esempio, a pensare che tutti siano parte di qualcosa tranne noi e ovviamente questo non è vero. Non è veritiera neanche la convinzione diffusa di non essere abbastanza bravi, di non aver letto abbastanza, di non essere abbastanza grandi o abbastanza giovani per fare determinate cose. Queste conclusioni infantili sono davvero limitanti per tutti noi e per le nostre capacità.
Queste convinzioni sono influenzate dai media?
Penso che il mondo in questo momento sia stretto nella morsa del consumismo e ciò gioca sicuramente un ruolo importante nella nostra percezione della realtà. I media ci ripetono tutti i giorni che se non possediamo quel determinato gadget o quel vestito alla moda non siamo “giusti”. Sono convinta che un certo tipo di messaggio e di informazione rafforzi le convinzioni che ci portiamo dietro dall’infanzia, come ad esempio quella che ci dice che non possediamo abbastanza o peggio ancora che noi non siamo abbastanza.
Quali sono queste cinque conclusioni di cui parli? Puoi darci qualche dettaglio in più?
La prima nasce in un periodo iniziale dell’infanzia, da pensieri come: «Cos’è successo? Perché sono arrivato qui su questa terra? Deve essersi trattato di un errore. Voglio andare via». E questo dà l’avvio a tutta una serie di convinzioni del tipo: “non appartengo a questo mondo”, “cosa ci faccio qui?”, “non sono fatto per questa terra”. Questi pensieri appartengono soprattutto alle persone molto sensibili, spirituali, intuitive. Per loro la sfida è incarnarsi davvero, riuscire a fare pace con la vita su questa terra.
La seconda conclusione è quella del bambino che è stato preso in braccio e nutrito, ma non abbastanza, non quanto avrebbe voluto. Al suo risveglio piange perché il suo corpo vorrebbe essere nutrito. Per sopravvivere ha bisogno di cibo e affetto, ma in quel momento non arriva nessun adulto a fornirglieli, perciò, dentro di lui, nasce la sensazione che qui non vi sia abbastanza per lui, un “non abbastanza” che include tutto. Si tratta di persone che soffrono molto di abbandono e solitamente tendono ad essere estremamente generose.
La terza riguarda la creatività. Capita ad esempio che da bambini, durante un momento di gioco, un adulto si avvicini a noi, magari un genitore, e – prendendo in mano il disegno che stavamo finendo – si complimenti con noi, dicendo: «Che bella volpe». Ma in realtà noi avevamo disegnato un gatto, non una volpe, e non riusciamo a correggere l’errore. L’interpretazione della nostra creatività da parte degli adulti è lontana dalla nostra, irraggiungibile, e rinunciamo a farci capire. Ci sono poi casi molto più gravi, come bambini che subiscono abusi, i cui confini emotivi e fisici vengono violati; casi in cui il bambino si sente impotente. In entrambi gli esempi i bambini frenano la propria creatività e sviluppano risentimento, o addirittura aggressività, cercando però di nascondere la rabbia. È questo il caso di bimbi che si riempiono di cibo per cercare di reprimere l’emozione della rabbia; in realtà si tratta di persone molto empatiche e creative.
La quarta conclusione riguarda l’immagine che il bambino ha di sé. Ricordate quando da piccoli volevamo essere un pompiere che salvava il mondo, o un dottore, un grande eroe, una persona speciale per nostra madre o nostro padre? Sognavamo grandi ruoli, ma, ad un certo punto, ci siamo accorti che eravamo solo dei bimbi. Avevamo creduto di essere più importanti di ciò che eravamo e il nostro piccolo cuore, in quel momento, si è spezzato. Così, decidiamo che non dovrà accadere mai più; da quel momento in poi cerchiamo di mantenere il controllo su chi ci circonda, di sapere se possiamo fidarci, anche se in realtà non ci fidiamo di nessuno. È questo il caso di persone molto passionali e creative; persone piene di idee che vogliono davvero fare del bene, ma che a causa della loro diffidenza tendono a tenere tutto sotto controllo, alimentando lo stress.
La quinta e ultima conclusione riguarda il bambino che forse non è mai riuscito ad adattarsi alla sua famiglia, o almeno così gli è sembrato. Ha un diverso sistema di valori interiori rispetto alle persone che ha intorno, o a parte di esse. Un esempio pratico potrebbe essere un bambino che corre ad abbracciare il papà o la mamma, ma essendo un po’ grandicello il genitore lo spinge via dicendogli che “è diventato troppo grande per queste cose”. Quindi il bambino capisce di aver oltrepassato un limite, che non sapeva esistesse, e che scopre proprio in quel momento. La conseguenza solitamente in questi casi è l’autolimitazione, ovvero il bambino tenderà a fissarsi da solo limiti molto ristretti, diventando una persona fredda e convenzionale. Ma in realtà si tratta del contrario: è un anticonformista che deve reimparare a tirar fuori la propria spontaneità e autenticità.
Se queste convinzioni lavorano a livello inconscio, come possiamo essere sicuri di sbarazzarcene?
Visto che lavorano a livello inconscio, il primo passo è diventarne consapevoli, imparare a riconoscere le “famiglie” di questi pensieri, ogni qual volta essi si presentano.
Il secondo passo consiste nell’attuare una “risposta di guarigione”, ripetendo le affermazioni opposte e sentendo le emozioni che questo suscita: all’inizio è difficile, è come se ci riprogrammassimo correttamente. Nel libro spiego una tecnica per capovolgere questi pensieri. Bisogna ricordarsi che non siamo più dei bambini, ma adulti che sono sopravvissuti a moltissime cose, siamo persone che ce l’hanno fatta, e siamo più grandi e più forti di quanto crediamo. Una volta raggiunta questa consapevolezza, possiamo permettere alle emozioni dell’infanzia di tornare a galla, possiamo “attraversarle” e uscirne più forti, più radicati in noi stessi. Allora, scopriremo di essere abbastanza, scopriremo di essere liberi di vivere la nostra vita, scopriremo la fiducia in noi stessi e negli altri, e, finalmente, scopriremo il nostro lato autentico.
Come reagiscono le persone quando smettono di dare seguito a questi tipi di convinzioni?
Per prima cosa diventano più felici. Non c’è nessuno con cui parliamo di più che con noi stessi e spesso lo facciamo in modo molto poco gentile. Se parlassimo così con i colleghi, veremmo licenziati, se lo facessimo con gli amici, rimarremmo da soli. Perciò, se la smettessimo di tormentarci, faremmo una cosa buona per noi e per tutti quelli che ci stanno accanto.
Quando osservi persone che vivono in un mondo automatico, quasi inconscio, cosa pensi?
Queste persone io le chiamo “naturali”, e penso che siano molto felici. Possiedono una gioia naturale, e sembra che non abbiano alcun bisogno di lavorare su di loro. Eppure, anche a loro, come a tutti, può capitare prima o poi di attraversare un periodo difficile, infelice… magari proprio a causa di questi schemi inconsapevoli! Quello che propongo nel mio libro è di estendere la risposta di guarigione a tutti. Sai, quando entri in una stanza e sei felice, allora tutti nella stanza si sentono un po’ più sereni? Ecco, quando siamo più consapevoli, possiamo trasmettere felicità anche agli altri!
Perché dovremmo leggere il tuo libro?
L’ho riletto proprio ieri per prepararmi a quest’intervista e ho pensato: «Wow, è davvero un buon libro», se l’avessi comprato, perché scritto da qualcun altro, sarei stata felice di averlo fatto, perché credo dia una percezione esatta di se stessi. Credo che le teorie di cui parlo in questo libro dovrebbero essere insegnate a scuola. Non capisco il motivo per cui studiamo la geografia dei Paesi, ma non la geografia di noi stessi. Sappiamo che strada seguire per andare dove vogliamo, ma procediamo imboccando a caso una strada dopo l’altra quando si tratta di realizzare lo scopo della nostra vita.
In che modo questo libro aiuta a comprendere qual è la strada da percorrere per ciascuno di noi?
Si può iniziare il percorso di consapevolezza tramite un semplice test che propongo sul mio sito che aiuta a capire quali siano le conclusioni infantili più attive dentro ad ognuno di noi. Credo che sia un buon modo per iniziare a mettere a fuoco le nostre convinzioni interiori e cominciare lentamente, un passo alla volta, con piccoli passi da bambino, ad essere consapevoli di quando questi pensieri si attivino. Non c’è nessun bisogno di credere a tutto quello che pensiamo, soprattutto se sono pensieri negativi. Quindi, quello che suggerisco, prima con il test e successivamente con il libro, è una strada per pensare a sé in modo positivo. Un primo grande passo è identificare queste convinzioni e riconoscerle quando si presentano, imparando a guardare noi stessi dal di fuori. Nel libro parlo di tre caratteristiche di questi pensieri che possono aiutarci ad identificarli: la prima è che sono ripetitivi, la seconda è la carica, la differenza di intensità rispetto ad altri pensieri. Questi infatti si portano dietro spesso emozioni di rabbia. La terza osservazione è che spesso contengono la parola “sempre” o “mai”. Qualche esempio potrebbe essere: “Devo sempre fare tutto da sola”, “Non mi aiuta mai nessuno”, o “Devo sempre adattarmi”, “Devo sempre conformarmi”, “Non appartengo mai a nulla”.
Quando hai provato queste teorie per la prima volta su te stessa qualcosa è cambiato nella tua vita? Cos’è successo?
Avevo 47 anni e frequentavo la scuola di Barbara Brennan. Avevo fatto moltissime cose ed ero abbastanza soddisfatta e felice, ma avevo il pensiero ricorrente di non essere all’altezza, di non essere abbastanza brava. Sino a che un giorno ho avuto questo pensiero: “chi sarei se accettassi semplicemente di essere abbastanza così come sono?”, e credo che sia da lì che, lentamente, le cose abbiano iniziato a cambiare dentro di me. Le mie conclusioni infantili principali sono tre: “non sono e non ho abbastanza, dovrei uniformarmi, essere convenzionale”. Negli anni però sono riuscita ad accettare la mia stravaganza e ad oggi amo me stessa e il mio anticonformismo.
È stato difficile diventare anticonformista?
Sì. Ma è stato anche un sollievo. È stato difficile perché avevo 47 anni quando ho cominciato questo percorso, perciò mi trovavo davanti a decenni di pensieri limitanti, alcuni consapevoli altri no. Se lo insegnassimo ai bambini, potremmo cambiare le loro abitudini molto più facilmente perché non sarebbero così radicate. Inoltre, posso confermare che c’è anche una ricompensa immediata a questo lavoro su se stessi: ogni volta che mi ricordo che posso essere me stessa, stravagante e anticonformista, ogni volta che mi ripeto che sono abbastanza… provo immediatamente una sensazione di rilassamento e di grande gioia. Ne vale la pena!
L’ultima domanda è: cos’è Amrita per te?
Sono entusiasta di avere Amrita come editore. È la casa editrice più attiva che abbia incontrato finora. Ogni settimana vengo contattata per articoli o interviste, la collaborazione è davvero fantastica. Grazie per il lavoro che fate.
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