- Elisa Cutuli
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Bartolo Favaloro ha contribuito alla stesura dell’opera corale “Cosa ci insegnano le pestilenze - Il Decamerone oggi”, a cura di Franco Canestrari e Nerio Cariaggi. Un moderno Decamerone in cui gli autori esplorano le peculiarità e le costanti di questa e delle altre pestilenze del passato per gettare uno sguardo più consapevole verso il futuro.
“Cosa ci insegnano le pestilenze - Il Decamerone oggi” a cura di Franco Canestrari e Nerio Cariaggi, uno dei titoli pubblicati quest’anno da Amrita Edizioni, analizza alcuni degli aspetti più controversi rispetto a come è stata affrontata la pandemia di SARS-CoV-2 e ci aiuta a comprendere quello che sappiamo sull’utilità dei virus nel mondo biologico e come abbiamo cercato di porre rimedio alle patologie e alle morti da loro causate.
Bartolo Favolaro, biologo molecolare di formazione che si è occupato di genetica dei microorganismi e dello studio dell’espressione genica in modelli tumorali, attraverso il suo contributo all’interno di questo “moderno Decamerone”, ha esplorato le costanti e le peculiarità delle pestilenze da un punto di vista scientifico.
Durante gli ultimi due anni sono mancati momenti di dibattito e riflessione attraverso un confronto pacifico e un approccio scientifico. Temi complessi e per certi versi non del tutto esplorati che, al contrario, sono stati forniti, soprattutto dai canali mainstream, come qualcosa di assolutamente certo per cui non era concepibile dubitare o proporre un contraddittorio. «Per la scienza il dubbio è più che legittimo, fare ipotesi e smontarle fa parte del processo. Solo quando si ha la pseudo certezza scientifica, che a volte si raggiunge, si può procedere. In questi anni abbiamo assistito ad una visione univoca, ad una tifoseria da stadio per nulla utile.
Spesso la verità si colloca in mezzo. È importante avere a disposizione tutti gli strumenti per permettere a chi non si occupa di questi temi di farsi una propria opinione senza essere sottoposti a qualsiasi forma di indottrinamento forzato verso una direzione o l’altra. È mancata una visione pluralista, la possibilità di mettere in discussione degli aspetti che durante la pandemia sono stati trattati in maniera categorica ed estremamente semplicistica» commenta Bartolo Favolaro.
Nel corso della puntata di Filo diretto con l’Autore, il biologo ci ha permesso di “conoscere” meglio i virus, quali effetti procurano e come possiamo contrastarli.
Quello che si conosce con certezza è che il DNA, il codice genetico che ognuno di noi possiede, contiene per il 10% sequenze che provengono da virus RNA che nel corso dell’evoluzione si sono integrati nel nostro genoma contribuendo fortemente allo sviluppo del genere umano.
Le nostre cellule sono formate da migliaia e migliaia di proteine e l'informazione per esse è contenuta proprio nel DNA. Ad esempio, una delle proteine che abbiamo ereditato dai virus è la sincitina che ha reso possibile lo sviluppo della placenta, indispensabile per nutrire, proteggere e sostenere il feto, impedendo quindi lo scambio tra sangue materno e sangue fetale. Senza questa proteina non esisteremmo e non sarebbe stata possibile l’evoluzione dei mammiferi.
Si distinguono virus a DNA che utilizzano appunto il DNA come materiale genetico e virus a RNA che utilizzano l’RNA come materiale genetico.
Non si conoscono le caratteristiche di tutti i circa 300 retrovirus presenti nel DNA - ovvero di quei virus a RNA che al loro ingresso nel citoplasma vengono convertiti in DNA dal processo di trascrizione detto trascrittasi inversa virale, migrando nel nucleo e integrandosi nel genoma della cellula ospite.
Un virus a DNA come quello della poliomielite, ad esempio, è più “stabile” rispetto a un virus a RNA, uno tra tutti il SARS-CoV-2, che muta più facilmente creando delle varianti. Trovare un vaccino mirato e adeguato per un virus a RNA è quasi impossibile e la storia lo dimostra. Basti pensare all’HIV e all’epatite C. Nel caso della poliomielite, invece, dopo anni di studi, ricerche ed effetti collaterali si è riusciti ad arrivare ad un vaccino che ha sradicato la malattia.
«Il concetto di una vaccinazione di massa, come è stata fatta per il SARS-CoV-2, con l’idea di eradicare totalmente il virus è un’eresia. Lo abbiamo visto tutti. I vaccini messi in commercio possono rappresentare un’arma notevole perché danno una risposta immunitaria, ma durano pochissimo perché il virus muta rapidamente. Ecco perché da subito ho avuto grossi dubbi, anche perché sono stati coinvolti bambini e adolescenti. Nonostante si tratti di tecniche in corso di studio da circa 30 anni, non si conoscono i potenziali rischi a lungo termine, mancano studi specifici in merito» continua Favolaro.
Nei vaccini tradizionali l’antigene o proteina Spike - una sostanza proteica estranea all’organismo che una volta al suo interno determina una risposta immunitaria tramite la produzione di anticorpi - resta al di fuori delle nostre cellule e viene riconosciuto dal sistema immunitario che interviene bloccandone la capacità autoreplicativa.
Nei vaccini a mRNA, quella porzione di acido ribonucleico (o RNA) necessario per la produzione della proteina Spike o antigene è racchiusa all'interno di una “vescicola” che, al momento dell’inoculo, entra dentro alcune cellule che vengono istruite per replicarla.
«Se parte di questo vaccino a mRNA incontra una cellula staminale - cellule non specializzate, dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo attraverso un processo denominato differenziamento cellulare - non sappiamo quali tipi di interferenze possono verificarsi. Non abbiamo nessun elemento scientifico in merito. Una vaccinazione con queste caratteristiche può avere senso su un soggetto anziano che presenta diverse patologie, ma non sui bambini. Potrebbe dare degli effetti collaterali a lungo termine anche tra 10 - 20 anni che non sarebbero riconosciuti. Le cellule staminali potrebbero mantenere in forma quiescente quell’mRNA che non è stato trascritto o cellule normali potrebbero assumere parte di questo contenuto senza produrre la proteina Spike» commenta Favolaro.
Nei vaccini tradizionali si conosce la quantità di proteina che viene iniettata per stimolare il sistema immunitario, con i vaccini di nuova generazione non si saprà mai quanto antigene verrà prodotto perché i sistemi di produzione e trascrizione nel nucleo della cellula che determinano la proteina Spike hanno una velocità differente negli anziani, nei giovani e nei bambini molto piccoli.
«È errato pensare che basta cambiare la sequenza di mRNA per adeguare il vaccino alla forma mutata del virus senza tener conto dei possibili rischi che può dare un ulteriore sequenza di mRNA introdotta nella cellula. Se avessi una conferma scientifica, dopo anni di studio e ricerche, non avrei alcun dubbio ma oggi non siamo ancora arrivati a questo punto» conclude Favolaro.
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